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LE TENDINOPATIE

Negli ultimi anni nuove incredibili scoperte sono state fatte nell’ambito delle tendinopatie, i disturbi che una volta venivano definiti tendiniti infatti sembrerebbero non avere una componente infiammatoria così rilevante da dover utilizzare il suffisso ite, alla loro base risiederebbe una serie di caratteristiche patologiche più complesse, che caratterizza il nome patia, vediamole assieme.

Innanzitutto, per diagnosticare una tendinopatia sono necessarie delle specifiche caratteristiche cliniche (J.Cook 2015) il dolore nella zona interessata deve essere puntiforme, presente nelle fasi iniziali della giornata o dell’attività fisica, deve rispondere meccanicamente a forze tensili e compressive sul tendine stesso e spesso si può notare un gonfiore del tendine.

Il tessuto del tendine infatti, composto principalmente da catene di collagene, sta svolgendo un processo che viene definito reattivo su degenerativo, in cui il tendine si gonfia a causa dell’acqua attirata da processi biochimici di riparazione tissutale. La scoperta incredibile è che le catene di collagene forti in un tendine del genere sono maggiori rispetto ad un tendine che non ha sviluppato una tendinopatia.

Un’altra importante novità riguarda la gestione della tendinopatia, essa è infatti una condizione lunga e insidiosa e deve essere affrontata sotto molti aspetti anche ormonali e metabolici. Il paziente deve essere messo al corrente che il dolore molto probabilmente non sparirà velocemente ma ci sono diversi modi per gestirlo, alcuni migliori di altri. Il riposo completo infatti è perfetto per far scemare il dolore di una tendinopatia ma al ritorno ad un’attività sportiva i sintomi si ripresenteranno uguali a prima. Inoltre, fare riposare completamente il tendine potrebbe interagire negativamente con il processo di rigenerazione elencato prima.

Cosa fare quindi? Un altro modo per diminuire il dolore in molti individui anche nelle fasi più irritative della patologia è fare una serie di contrazioni isometriche in un arco di movimento intermedio dell’articolazione nel quale il suddetto tendine è coinvolto (non preoccupatevi nella pratica è molto più semplice che nella teoria). Il movimento è una parte cruciale quindi nella gestione della tendinopatia, ma non tutti i movimenti vanno bene o almeno non subito. Dopo qualche giorno in cui le isometrie sono state iniziate, se il paziente presenta una riduzione dei sintomi, può essere iniziata una fase di allenamento che viene definita heavy slow resistance, letteralmente resistenza pesante e lenta in cui con movimenti molto lenti vengo spostati un buon numero di chilogrammi (compatibilmente con le caratteristiche del soggetto).

L’ultima fase della riabilitazione, si basa su un’altra scoperta (Ebonie Rio 2016) gli individue che presentano problematiche alle struttture muscolotendinee come quelle sopra elencate infatti avrebbero un’alterazione della corteccia motoria primaria e del corno anteriore del midollo spinale nell’ evocazione del potenziale d’azione che muove il muscolo. I motoneuroni essendo sovraeccitati raggiungono più velocemente il loro picco di scarica, e quest’ ultimo, anche se raggiunto più velocemente, non è però tanto elevato quanto in condizioni normali. Questa alterazione viene inoltre seguita da aumentata inibizione corticale, il motoneurone insomma non solo si eccita più velocemente e meno ma la si “frena “ molto di più. In poche parole è come se in macchina avessimo costantemente un piede a metà sull’acceleratore e uno a metà sul freno, non un bel modo di guidare.

In questo caso i pazienti più agili e sportivi per ritornare a dei livelli pre-patologia devono intraprendere un vero e proprio allenamento di neuroplasticità, devono reimparare a fare quei movimenti rapidi e reattivi che vengono definiti pliometrici.


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